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L’effetto economico dei dazi

10.04.2025

Intanto, dobbiamo chiederci quali sono le motivazioni che spingono un paese ad adottare i dazi sui beni importati? In genere l'esigenza principale è quella di riequilibrare la bilancia commerciale, ovvero il deficit che si viene a creare come saldo tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni. È intuitivo che, se un paese importa di più di quanto esporta consegue un deficit della bilancia commerciale. Sotto altri fronti i dazi possono essere implementati con la strategia di proteggere le industrie nazionali e ad esempio sostenere i settori emergenti. In questo caso i dazi consentono alle nuove industrie di svilupparsi e aumentare la competitività. Negli ultimi anni anche a causa della crisi del Covid-19 e al successivo aumento dei prezzi dell'energia sono entrate in crisi alcune catene del valore globale e i paesi si sono sentiti deboli perché privi di idonee scorte e disponibilità di taluni beni (farmaci e gas). In questo particolare caso la scelta di adottare delle tariffe può rispondere ad esigenze volte a tutelare la sicurezza di un paese riducendo la dipendenza dai fornitori esteri per beni e servizi essenziali. Altre volte poi i dazi sono usati per scoraggiare politiche di dumping economico, sociale o ambientale praticate da parte di imprese di paesi stranieri. Il punto è che nonostante i dazi siano utilizzati per conseguire questi risultati, le conseguenze che derivano dalla loro applicazione sono decisamente più ampie e si allargano ad altri ambiti dell'economia. Perfino ai tassi di cambio, cosa che non approfondirò in quanto in genere è potenzialmente marginale. È facile comprendere che le tariffe aumentano il costo dei beni importati e quindi fanno aumentare i prezzi dei beni di consumo. L'aumento dei beni per i consumatori comporta una perdita di potere di acquisto. Anche le imprese possono subire dei danni; basta pensare ai dazi praticati sull'importazione di beni intermedi, usati nei processi produttivi, che possono rendere più costose le produzioni nazionali di taluni beni rendendo le imprese che li subiscono meno competitive. Anche le imprese che si pensa di proteggere possono perdere efficienza. Come? Gli imprenditori dei settori che si sentono al riparo dalla concorrenza estera saranno tentati dal fare meno investimenti e la mancanza di concorrenza avrà come effetto finale una riduzione della produttività e una perdita di efficienza rendendo nel medio termine le imprese meno competitive; arrivando in questo modo a conseguire un risultato diametralmente opposto a quello che ci si propone proprio con l'applicazione delle tariffe. Chi impone dazi pensa di poter applicare in economia la teoria della sostituzione. Ovvero scoraggiare gli acquisti di beni esteri favorendo l'acquisto di beni nazionali. Ma questa cosa funziona? Occorre considerare e studiare se per i beni esteri, divenuti più costosi per effetto dei dazi, vi è una elasticità della domanda al prezzo. Se l'elasticità è alta l'aumento del prezzo può influenzarne l'acquisto. Se l'elasticità è bassa le persone continueranno comunque a comprare i beni più costosi senza alcun vantaggio quelli nazionali. Pertanto, gli effetti delle strategie di sostituzione non sempre sono efficaci; c'è da dire a tal proposito che i beni esteri possono essere preferiti in funzione di gusti, di tendenze, mode, o della migliore performance attribuita o anche da altre variabili che non sono influenzate dal prezzo. Ricapitolando l'effetto dei dazi aumenta i prezzi dei beni importati e questo aumento può diffondersi all'economia del paese, in modo ancor più pesante se colpisce anche i beni intermedi che entrano nei processi di produzione. L'aumento dei prezzi fa perdere potere di acquisto e l'inflazione che ne può derivare fa crescere i tassi di interesse e questo scoraggia gli investimenti delle imprese. La combinazione di questi effetti innesca certamente il calo della domanda e porta l'economia in recessione. Senza parlare delle ritorsioni dei paesi che subiscono i dazi, che imponendo contro dazi scoraggerebbero le esportazioni del paese che per primo adotta le tariffe, con un ulteriore calo della PIL. Insomma, un pasticcio. In qualche misura questi effetti si fanno sentire, e lo stiamo vedendo in questi giorni, anche sui mercati finanziari che, soprattutto in presenza di dazi generalizzati come nel caso di quelli imposti dall'amministrazione Trump, fanno registrare una forte volatilità e grande incertezza. Incertezza che può diffondersi all'economia reale e agli investitori, con ulteriori effetti depressevi del prodotto interno. La riduzione del valore delle azioni compromette la redditività di banche e investitori istituzionali che vedono contrarsi gli attivi, ad esempio i fondi pensione, con ulteriori effetti negativi. Nel corso di oltre un secolo gli USA hanno abbassato in modo graduale ma continuo le tariffe favorendo l'integrazione mondiale degli scambi e contribuendo alla crescita dei paesi in via di sviluppo. Senza tuttavia perdere potere economico. Infatti, il PIL degli Stati Uniti è passato da 1,1 trilioni di dollari del 1970 a circa 21 trilioni del 2020. La crescita economica è stata assicurata anche grazie alla specializzazione delle attività produttive, classica proprio del commercio mondiale. Gli USA si sono concentrati sulla tecnologia. Le Big Tech rappresentano un volano importante dell'economia americana. Allo stesso modo i servizi finanziari sono rilevanti. Ma questo fa parte delle regole del gioco. Ciascun paese sfrutta le sue attitudini e capacità e si specializza nei settori in cui ha maggiori competenze e dove è più competitivo. Nel tempo le attività manifatturiere hanno subito la concorrenza dei paesi in via di sviluppo che hanno incentrato la propria competitività, almeno dall'inizio degli anni Novanta, sui bassi salari e sul contenimento dei costi di produzione, quindi una perdita nei settori industriali, e una riduzione del numero delle imprese manifatturiere, rientrava nella logica delle cose. Dapprima Trump, se torniamo indietro al suo primo mandato seguito in buon ordine dall'amministrazione Biden, aveva implementato politiche tariffarie su alcuni prodotti e beni (acciaio e alluminio dal 2018), in particolare sulle importazioni cinesi. Uno studio interessante – "The Impact of the 2018 Tariffs on Prices and Welfare" by Mary Amiti, Stephen J. Redding, David E. Weinstein, 2019 – ha esaminato l'impatto economico delle politiche commerciali protezionistiche adottate proprio della prima amministrazione Trump nel 2018. L'aumento della protezione commerciale messa in campo dagli Stati Uniti in quegli anni ha fatto registrare aumenti sostanziali dei prezzi dei beni intermedi e finali, cambiamenti importanti e negativi nella rete della catena di approvvigionamento, una riduzione della disponibilità di varietà di beni importati e la trasmissione delle stesse tariffe sui prezzi interni. Pertanto, la piena incidenza delle tariffe ha colpito sia i consumatori che gli importatori nazionali, e le stime dello studio sottolineano come si sia conseguita una riduzione del reddito reale aggregata di circa 1,4 miliardi di dollari al mese per l'anno 2018, ovviamente a partire dalla data di effetto dei dazi. Anche qualora gli importatori decidessero di ridurre i margini assorbendo il maggior costo, senza trasferirlo ai consumatori e sempre che questo sia possibile, avremmo meno inflazione ma un calo delle redditività degli intermediari commerciali. Questo significa che in ultima istanza in seguito all'introduzione dei dazi da qualche parte nell'economia qualcuno perde comunque una fetta di reddito. Gli effetti di lungo termine sono non del tutto chiari. Il paese potrebbe sperimentare un isolamento economico e politico con evidenti conseguenze negative in termini di PIL e la Brexit in questo caso ci insegna qualcosa. Diversi studi economici dimostrano che ad un aumento dei dazi in genere corrisponde un calo della crescita della produzione nel breve periodo e sul lungo periodo gli esiti sono, come detto, incerti. L'impatto negativo delle tariffe è tanto maggiore nei paesi in cui non vi sono imprese che possono rappresentare dei buoni sostituti per i beni importati. Il parmigiano reggiano o e tanti altri beni e prodotti sono difficili da replicare. E tutte le considerazioni fin qui fatte non hanno considerato il costo sull'aggravio del deficit pubblico, che si crea per l'aumento delle spese compensative e di stimolo dell'economia che sarà necessario applicare per far riprendere l'economia. E con la crescita del deficit pubblico e dei tassi di interesse, che cercano di contenere l'inflazione, cresce il costo del finanziamento del debito pubblico. Insomma, una politica selettiva e più o meno concordata per riequilibrare la bilancia commerciale con l'imposizione di dazi può avere effetti negativi modesti che magari nel lungo periodo rimettono in sesto i conti, ma scelte economiche così imponenti e poco sensate che innescano guerre commerciali, come quelle intraprese dall'amministrazione Trump, non potranno che avere effetti negativi interni sia per gli USA che più in generale per l'economia mondiale.


Dal Blog Arturo Gulinelli