DAL BLOG ARTURO GULINELLI. La disuguaglianza nella distribuzione del reddito riduce la crescita economica? Su questo tema, come su molti altri, la letteratura economica esprime spesso pareri discordi; alcuni teorici pensano e sostengono che una certa quantità di disuguaglianza favorisca il dinamismo sociale ed economico, finendo con lo spingere in alto la crescita e lo sviluppo di un paese.Tra le tante teorie, poco affidabili, una di quelle che sostiene questi principi è la trickle-down-economy: una sorta di redistribuzione dal basso verso l'alto, ottenuta con la riduzione dell'imposizione a favore dei possessori di redditi alti; secondo alcuni economisti questo favorirebbe la crescita economica.Non vi è evidenza empirica che questa teoria funzioni; anzi, oggi appare chiaro come la disuguaglianza, prodotta da errate scelte di politica economica, abbia generato effetti esattamente contrari.
Come si può vedere agevolmente dal grafico riportato sopra, è chiaro che possa esistere una relazione negativa tra la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e la crescita economica. Tanto più aumenta la disuguaglianza, tanto più si riduce la crescita economica. Il grafico raffigura la situazione esattamente opposta a quella normalmente divulgata, che riporta sull'asse delle ascisse l'uguaglianza del reddito e che tende a sostenere, che se cresce l'uguaglianza diminuisce la crescita economica.Se l'uguaglianza nella distribuzione del reddito fosse vicina allo zero avremmo, secondo la teoria della TDE, un effetto di elevata crescita; non ci spiegano però come potrebbe accadere tutto ciò. Non è complicato comprendere che se ponessimo tutto o quasi tutto il reddito in mano ad una persona (o a poche persone) difficilmente avremmo sviluppo e progresso economico.Allo stesso modo, la totale uguaglianza nella distribuzione del reddito non sarebbe accettabile, poiché non assicurerebbe adeguati livelli di efficienza economica.Anche il FMI, tra le varie istituzioni internazionali, ha dovuto ammettere in uno studio di aprile 2014 (Redistribution, Inequality,and Growth, di J. D. Ostry et all) che i paesi, che nel periodo osservato sono cresciuti di più sono quelli in cui la disuguaglianza era più bassa (queste le conclusioni degli autori: "sarebbe comunque un errore concentrarsi sulla crescita e lasciare che l'ineguaglianza si prenda cura di se stessa, non solo perché la disuguaglianza può essere eticamente indesiderabile, ma anche perché la crescita risultante può essere bassa e insostenibile").Gli autori del paper aggiungono che vi sono pochi elementi e riscontri che indicano che la redistribuzione del reddito generi effetti negativi per l'economia, anzi continuano sostenendo che: le politiche fiscali che innescano un (ndr la parte in grassetto è stata aggiunta) "restringimento della disuguaglianza hanno aiutato a sostenere una crescita più rapida e più duratura".Del resto basta osservare la discesa che la curva delle aliquote fiscali ha fatto registrare nei paesi sviluppati, dai primi anni del secolo scorso ai giorni d'oggi, per renderci conto di come alla riduzione della tassazione (e quindi del gettito fiscale a disposizione delle autorità per investimenti e welfare state) non abbia fatto riscontro la crescita economica; infatti, il reddito pro capite in Europa e negli Stati Uniti inizia a scendere proprio dagli inizi degli anni settanta, quando i governi iniziano ad attuare politiche che agevolano l'abbassamento delle aliquote fiscali.E' evidente che la propensione marginale al consumo di una persona ricca sia inferiore a quella di una persona che si trova al di sotto della media della distribuzione del reddito.L'effetto reddito (da redistribuzione) fa aumentare i consumi, quindi il reddito nazionale, la produzione e gli investimenti.Il consumo, infatti, è composto da una quota costante che non varia al variare del reddito e da una quota - in genere più rilevante - che dipende dalle fluttuazioni che subisce il reddito.C = co + c1 Yd dalla quale ricaviamo la propensione marginale C1 = ΔC/ΔYd
Quali politiche possono aiutare la redistribuzione?Le più svariate, ovviamente. L'aumento dei sussidi alla disoccupazione, gli investimenti pubblici in istruzione e sanità, e finanche l'aumento dei salari minimi, che avrebbe l'effetto di far salire il reddito disponibile e la quota salari nella distribuzione del valore aggiunto.Oltre ai vantaggi in termini di maggiore crescita economica il salario minimo sarebbe in grado di stimolare l'effetto Ricardo; questo perché l'aumento dei salari farebbe crescere il rapporto W/Pma che a sua volta condurrebbe ad un incremento della produttività (π = bY + c (W/Pma) + d Inv).Questa visione dell'economia aiuta anche a svalutare le sempre più diffuse e confuse e sbagliate idee che attribuiscono l'aumento della produttività alla crescita delle ore lavorate o alla presenza di normative che rendono più flessibile il lavoro.E' chiaro, invece, che la ridotta vivacità della produttività del nostro paese sia, tra le altre cose, attribuibile proprio alla moderazione salariale degli ultimi decenni.L'incremento del salario minimo avrebbe, pertanto, due effetti: l'aumento del reddito pro capite, e l'aumento, nel medio periodo, della produttività.