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Addio al bonus commercio se non riportato in dichiarazione

01.06.2022

Il credito d'imposta concesso, per incentivare il commercio, dall'articolo 11 della legge 449/1997, deve essere indicato nella dichiarazione relativa al periodo nel corso del quale il beneficio è accordato. In difetto di tale adempimento, il contribuente decade dall'agevolazione, senza possibilità di sanare l'errore mediante dichiarazione integrativa presentata oltre l'anno successivo a quello della dichiarazione errata.Questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 21120 del 24 agosto 2018.La vicenda processualeA seguito del controllo della dichiarazione dei redditi modello Unico/2003, presentata per l'anno d'imposta 2002, veniva contestata al contribuente la decadenza dal beneficio all'incentivo fiscale al commercio, previsto dall'articolo 11 della legge 449/1997, in quanto il credito, benché indicato nel quadro del reddito d'impresa, non era stato annotato per riepilogo nel quadro RU del modello Unico. L'ufficio procedeva, pertanto, al recupero del credito d'imposta ritenuto indebitamente compensato.Ricorreva in giudizio il contribuente, sostenendo la natura meramente formale della violazione, non incidente sulla base imponibile, nonché la legittimità della sanatoria effettuata mediante dichiarazione telematica integrativa nel rispetto del termine del quarto anno successivo alla dichiarazione, ai sensi dell'articolo 43, Dpr 600/1973, e dell'articolo 2, comma 8, del Dpr 322/1998. Chiedeva, pertanto, l'annullamento dell'atto impositivo.In sede d'appello, la Ctr di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva il ricorso di parte sottolineando la natura meramente formale della violazione.Ricorreva per cassazione l'ufficio, affidando la censura del pronunciamento di secondo grado alla violazione degli articoli 11, comma 3, della legge 449/1997, in combinato disposto con l'articolo 11, comma 3, della legge 317/1991, e con l'articolo 6, comma 5-bis, del Dlgs 472/1997 in relazione all'articolo 360 n. 3 cpc, nonché per aver ritenuto possibile la rettifica della dichiarazione in ogni tempo, in spregio del disposto dell'articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/1998.La pronuncia della Corte supremaRibaltando il verdetto di merito, la Cassazione ha affermato come "il credito fiscale in oggetto è assistito da un regime speciale connotato, per scelta discrezionale del legislatore, dalla decadenza in caso di omessa dichiarazione".Richiamando la pronuncia 610/2018, la Corte suprema ha ribadito come "Il credito d'imposta concesso, al fine di incentivare il commercio, dall'art. 11 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta nel corso del quale il beneficio è accordato. Poiché esso è riconosciuto a titolo di agevolazione fiscale, l'indicazione ha valore di atto negoziale, integrando una dichiarazione di volontà e non di scienza, con la conseguenza che la decadenza prevista in caso di omessa tempestiva indicazione è connaturata alla struttura e alla ratio dell'istituto e determina l'irretrattabilità della dichiarazione, alla quale, pertanto, è inapplicabile il principio della generale emendabilità delle dichiarazioni fiscali (salvo che il contribuente non dimostri l'essenzialità e obiettiva riconoscibilità dell'errore, ai sensi degli artt. 1427 e ss. cod. civ.)".D'altronde, già con precedenti decisioni, puntualmente richiamate dalla Corte (Cassazione, 12782/2018, 30172/2017, 2935/2017, 389/2016, 22673/2014 e 23572/2014), era stato affermato il predetto principio. In particolare, con sentenza 19868/2012, la Cassazione aveva precisato come "il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, come nell'ipotesi prevista nel Decreto Ministeriale 22 luglio 1998, n. 275, il quale, all'articolo 6, stabilisce che il credito di imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso".I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso di parte, non ritenendo necessario alcun ulteriore accertamento in fatto.Ulteriori osservazioniGli articoli 2, comma 8, e 8, comma 6-bis, del Dpr 322/1998 - rispettivamente in tema di imposte dirette e Iva - prevedono una generalizzata possibilità per i contribuenti di correggere eventuali errori e omissioni commessi nella compilazione delle dichiarazioni già presentate, entro i termini stabiliti per l'esercizio del potere di accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria.Per effetto delle nuove disposizioni, pertanto, le dichiarazioni integrative presentate successivamente alla data del 24 ottobre 2016 devono essere considerate ordinariamente idonee a sostituire la dichiarazione originaria.Tuttavia, incidenter tantum, la Corte ha precisato come la nuova normativa innovativa, introdotta a seguito della pronuncia delle Sezioni unite 13378/2016, operi solo per il futuro. Nel caso di specie, peraltro, la decadenza conseguente a un'omessa indicazione nella dichiarazione è specificamente prevista dalla norma di favore e, pertanto, non suscettibile di deroga per effetto di una nuova disciplina generale successiva. da fisco oggi.